“Ho scelto la Musica perché tutto era sacrificabile per fare ciò che mi sarebbe piaciuto fare” dice Francesco D’Agnolo, di professione musicista, che fra studio, viaggi e lavoro, ha percorso tante strade, prima di capire che la sua stessa vita non sarebbe stata altro, se non questo mestiere.
Ecco la sua intervista.

Francesco ci racconti la tua attività di musicista? Perché hai fatto questa scelta di vita e di lavoro?

Inizialmente non è stata una scelta, mi sono trovato all’età di 6 anni a studiare pianoforte perché ne avevo uno in casa e al piano sotto al mio, nel palazzo dove vivevo, abitava una maestra di pianoforte di un conservatorio del centro Italia. Presto ho cominciato a  dedicare gran parte della giornata allo studio. Ma ancora non pensavo che avrei fatto questo mestiere. In effetti ne ho fatti altri. Prima di questo, ho lavorato come tecnico informatico, grafico, ho fatto il facchino, il lava macchine, il barista, in Italia e all’estero (più precisamente in Irlanda, dove ho vissuto un anno). Poi ho deciso che era il momento di fare ciò per cui avevo speso gli anni più spensierati della vita. Ho iniziato quindi a fare il musicista, smettendo completamente di nominare altre attività. Perché questa scelta? Perché, pur conoscendo i rischi a cui andavo incontro che non sto qui ad elencare, ho capito che era tutto sacrificabile per fare ciò che mi sarebbe piaciuto fare.

La tua giornata tipo?

A differenza di molti che fanno un lavoro subordinato, una vera e propria giornata tipo non c’è. Diciamo che, volendo tentare di “inscatolare” una giornata, dentro metterei: ore di insegnamento, ore di prove, ore di studio/composizione, ore di lavoro per portare a termine richieste di terzi che abbiano necessità di un arrangiamento, o di un brano nuovo, o di una parte di pianoforte o tastiere da inserire nei loro progetti, spot pubblicitari, video. Ore dedicate al suonare dal vivo. Tutte queste attività si mescolano in quantità sempre differenti ogni giorno e come si vede, non c’è altro che la musica, non è un mestiere che ha un orario di inizio è uno di fine, non si “stacca” mai.

Ci descrivi la tua esperienza più significativa?

Senza dubbio una tournée negli Stati Uniti, con un artista americano, due musicisti statunitensi molto conosciuti nel loro mondo musicale e un amico italiano che risiede negli States. Girare 17 stati in 23 giorni, è un’esperienza indescrivibile. Non riesci quasi a renderti conto di dove ti trovi, perché in poche ore sarai a migliaia di migliaia di chilometri da lì, e di nuovo il giorno successivo. Suonare negli Stati Uniti era forse l’unica cosa che immaginavo da piccolo, insieme a visitare due città, Las Vegas e New York; le due cose sono riuscito a realizzarle contemporaneamente.

La tua esperienza di lavoro con Gabriel Canelles quando è cominciata? 

Ho iniziato a lavorare con Gabriel con un impegnativo periodo di preparazione del repertorio e, cosa ancora più importante che oggi troppo spesso viene dimenticata, a “fare gruppo”, verso la fine del 2015. Dopo pochi mesi sono iniziati gli eventi in cui suonare. Ora la “macchina musicale” scorre fluida, sia musicalmente, sia umanamente: in questo mestiere la comunicazione anche non verbale è fondamentale, se non c’è affinità, il risultato può essere compromesso, tranne in quelle rare famose eccezioni (per citarne una, i Rolling Stones) dove la magia sul palco si trasforma in una totale incompatibilità umana fuori dallo stage.

La canzone (o l’album o la musica) che ti ha cambiato la vita…

Non posso definirne una, ma posso affermare con certezza che la musica classica è ciò che mi ha dato l’idea di quanto la vetta della musica si perda tra le nuvole. Sforzandomi invece di individuare un personaggio e la sua musica in un modello irripetibile, direi Michel Petrucciani, un pianista affetto da una grave malattia che gli procurava fratture alle ossa delle dita anche durante i concerti. Provate a far suonare un musicista che si sia procurato anche solo un piccolo taglio su un dito. Il distacco dalla realtà e dalle sensazioni razionali ad essa legate, che la musica riusciva a regalare a questo artista erano irripetibili… “Erano”, purtroppo.

Come ti vedi fra 5 anni? 

Non ha molta importanza per me, ma se proprio ci tieni a saperlo, mi vedo come oggi, ogni giorno un giorno a sé, con l’unica certezza che la musica, seppur a volte in situazioni in cui non le viene riconosciuta la natura di “arte”, per non citare tutti i suoi significati.

I momenti più belli e emozionanti del tuo lavoro quali sono? E quelli più difficili?

Il momento più emozionante è lo scambio di energia che avviene con il pubblico, quando sia io che quest’ultimo abbiamo energie da scambiare. Non avviene sempre, ma quando succede la performance musicale si arricchisce esponenzialmente con l’aumento del divertimento mio e di chi ascolta. I momenti più difficili sono quelli esattamente opposti, ovvero quelli in cui avresti bisogno di sentire l’energia del pubblico per risvegliare l’anima musicale che a volte fatica ad uscire, perché in fondo anche il musicista ha i momenti “no” come tutti, nonostante la gente pensi “fai il lavoro che ti piace, cosa vuoi di più”, ma quell’energia non arriva. È veramente frustrante ed è difficile avere a che fare con questo andamento altalenante, oggi sei la fonte di emozioni per tanta gente, domani sei invisibile.

La domanda da un milione di dollari. Ti mandano a vivere su un’isola deserta per 1 anno e puoi portare con te solo 3 canzoni: quali scegli?

Non ho ancora ricevuto il bonifico, perciò ne dico 2, la terza al saldo 😉
“Collapse light into Earth “dei Porcupine Tree, che per un’isola deserta è perfetta, e “Thousand Years” di Sting, così magari mi ci lasciano per qualche giorno in più.

In un evento da festeggiare e condividere, la Musica è fondamentale: perché secondo te? 

Se c’è una festa c’è emozione e c’è la voglia di divertirsi.

Esistono mille modi di divertirsi, potremmo giocare una partita di calcetto, a bridge o fare una partita a scacchi. Ma temo che oltre ad essere in pochi a saper giocare, saremmo in troppi per prendere parte al divertimento. C’è una sola cosa che può arrivare a tante persone contemporaneamente e che non ha né regole e né istruzioni. È la musica. È fisiologico, la musica suscita emozioni, se non riesce a farlo, o non ne hai, o sei clinicamente morto. Nel secondo caso difficilmente frequenterai una festa, nel primo beh, c’è sempre una sedia libera e una bottiglia, ma lasciateci divertire ed emozionare. Scusate la schiettezza, ma perché a un compleanno la gente non si accontenta di una stretta di mano e vuole sempre cantare “Tanti auguri a te”?

Ora lasciatemi pensare a come spenderò il milione di dollari dopo un anno su un’isola deserta!

 

 

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